Vodafone sul Corriere della Sera sdogana la distopia 5G e i robot nella scuola

di Annalisa Buccieri

La deriva digitale e virtuale della scuola pubblica, unita ad un vero e proprio delirio elettromagnetico e transumanista, finiscono su una pagina del Corriere della Sera edizione on-line, con un articolo sponsorizzato dalla Vodafone che inneggia ai robot da usare nelle aule, come fossero i prossimi sostituti degli insegnanti e la Didattica a Distanza l’inizio dell’era più oscura dell’insegnamento, non più didattica. Il futuro della scuola è già qui – titola l’incriminato articolo – ecco come saranno le classi 5G“. Solo ai meno attenti è poi sfuggito che il committente dell’articolo, cioé Vodafone, non è altro che la multinazionale guidata per un decennio da Vittorio Colao, il top manager autore del piano recepito dal presidente del consiglio Conte per imbavagliare i sindaci Stop 5G. L’idea che ne viene, è di un colosso delle telecomunicazioni che ora passa all’incasso pure dentro le scuole, eseguito alla lettera il compito del nume, suo Grande Maestro.

Annalisa Buccieri dell’Osservatorio Scuola dell’Alleanza Italiana Stop 5G, docente scolastica, madre e relatrice nella recente manifestazione nazionale Stop 5G, a botta calda decide di commentare quest’incresciosa legittimazione mediatica dell’anti-Uomo e dell’anti-Scuola diffusa sul – notoriamente – più importante giornale nazionale. E lo fa col piglio giusto, ricerche, studi, dati e analisi socio-culturale degli effetti del cambiamento. Perché, per chi ancora non l’avesse capito, i nostri governanti usano la scusa del virus per resettare tutto il sistema, partendo dalle fondamenta del prossimo futuro: è in atto un cambio antropologico, un cambio radicale della società. Fermiamo questo scempio prima che sia troppo tardi. Per non lasciar ridurre i nostri figli in cyborg. (M.M.)

Le due di notte, due immagini che si sovrappongono fra occhi, cuore e mente: su in cameretta un bambino che ha preso sonno leggendo “Il venditore di felicità”; sul Corriere della Sera un bambino di poco più grande, a scuola, che indossa un visore per realtà virtuale.

Comincio con una domanda, dato che l’articolo in questione ha un preciso committente: perché mai dovremmo ascoltare la “Voce di Vodafone” sulla scuola? La risposta è scontata nell’ottica del grande circo della tecnodittatura capitalistica; ma che l’istituzione deputata all’ ‘apprendimento formale’ – come da Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente della Commissione delle Comunità Europee, 30 ottobre 2000 – debba essere svenduta nel modo più indecoroso e impietoso ai giganti delle telecomunicazioni beh… un po’ di sussulti intellettuali e rigurgiti psicosomatici li induce. Leggo che l’esperienza del lockdown ha fatto emergere le potenzialità del digitale, addirittura «una lezione da non dimenticare: reti e tecnologia sono state decisive durante l’emergenza». Innanzi tutto una constatazione ampiamente confortata dai fatti: sarà mica vero il contrario? Ossia che l’emergenza è stata decisiva per reti e tecnologia? No perché appena iniziato il confinamento è sceso in campo l’esercito di operai delle TELCO che, superando ogni timore di contagio, ha installato antennoni e antennine a destra e a manca, ed ha avuto tanto a cuore il benessere della cittadinanza reclusa che ha avvicinato i tralicci il più possibile alle case, così di sicuro la connessione non cade. Quanto alle potenzialità del digitale… a maggio 2020 uno studio dell’Associazione Nostra Famiglia che ha coinvolto 1472 genitori e 1630 fra bambini e ragazzi di tutta Italia segnalava un incremento significativo dei ‘comportamenti problema’: per un terzo degli studenti erano già aumentati i comportamenti di ritiro, ansioso-depressivi, i comportamenti aggressivi e i problemi di attenzione. Un’indagine SIRD (Società Italiana di Ricerca Didattica, che unisce 250 fra docenti e ricercatori di 40 università italiane, presieduta dal noto pedagogista dell’università “La Sapienza” Pietro Lucisano) condotta fra aprile e giugno 2020 su 16.084 insegnanti in 1834 comuni su tutto il territorio nazionale ha evidenziato che, a fronte degli sforzi e dell’impegno profuso, l’efficacia percepita non è stata commisurata, soprattutto per quanto riguarda gli apprendimenti ottenuti, l’inclusione degli allievi con difficoltà, la possibilità di un’adeguata valutazione del profitto. Ulteriori criticità sono state rilevate nella gestione degli ambienti di apprendimento e nella sinergia scuola-famiglia. In una recente intervista rilasciata a RAI GR Parlamento il Prof. Lucisano, in una prospettiva dichiaratamente non giudicante tesa a comprendere e pertanto migliorare, afferma che «la didattica a distanza è una risorsa a cui far riferimento, anche se poi la didattica vera è quella che si fa con i ragazzi facendoli vivere insieme […] [In particolare] i bambini hanno bisogno di […] fare esperienza insieme, di confrontarsi, e confrontarsi a distanza non è la stessa cosa… ».

Manifesto per una scuola reale e di intelligenze umane dell’Osservatorio Scuola dell’Alleanza Italiana Stop 5G – clicca qui

Lo psicologo sociale e docente della New York University Jonathan Haidt ha di recente osservato un gigantesco aumento di ansia, depressione, autolesionismo (incluso il taglio) e suicidio tra bambini, pre-adolescenti e adolescenti ‘Generazione Z’ che hanno iniziato ad usare i social durante le scuole primarie/medie. Il tasso di suicidi per le teen-agers è cresciuto del 70% rispetto alla prima decade del secolo, e per le pre-adolescenti del 151%, con chiare connessioni rilevate con la partecipazione ai social. Potenzialità del digitale. Peccato che la realtà dei fatti e le posizioni inequivocabili di esperti, pedagogisti, psichiatri, neuropsichiatri che cercano di mettere in guardia dai pericoli incombenti vengano disinvoltamente ignorate: Spitzer, Andreoli, Desmurget, Crepet, Meluzzi, Novara, l’elenco sarebbe lungo. Cosa non si farebbe per camuffare il gigantesco flop della scuola digitale. Non si può non citare Spitzer nel suo emblematico “Demenza digitale”: «Vorrei ribadirlo ancora una volta con la massima chiarezza: l’aspetto più negativo degli slogan pubblicitari sui computer (computer, n.b.!) nelle scuole è che la decisione dei genitori – comprare un computer ai figli in quinta elementare – ottiene proprio ciò che non vogliono e di cui hanno paura. Lo dimostra tra l’altro l’elaborazione dei dati degli studi PISA sull’effetto dell’uso del computer sul rendimento scolastico […]: avere un computer a casa porta a un peggioramento delle prestazioni scolastiche. È un fenomeno che riguarda sia il calcolo che la lettura. […] Più mi occupo superficialmente di un contenuto, meno sinapsi si attivano e quindi imparo meno. È un punto di vista importante, perché è proprio per questo che i media digitali e Internet hanno un effetto deleterio sull’apprendimento» (M. Spitzer, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Corbaccio, 2012, pp. 20, 60).

L’articolo del Corriere presenta altri aspetti che meritano “attenzione”. Le meraviglie del digitale intercetteranno meglio il linguaggio tecnologicamente evoluto dei ragazzi, è scritto. Sì, evoluto in direzione di un analfabetismo imperante in senso letterale ed emotivo, di un generale impoverimento per cui l’umana razionalità si ripropone gradualmente nelle sue forme più grossolane e basilari. La risposta di gran parte degli adolescenti a qualunque input che renda necessario l’uso del cervello è il copia-incolla. Peraltro spesso avulso dalla valutazione del contenuto da incollare, al di là del titolo. «Toccare una parola con la mano e spostarla in un altro punto dello schermo è quanto di più superficiale si possa fare. […] Quando si dichiara che a scuola si studia meglio grazie ai media digitali, non bisogna dimenticare che non esistono dimostrazioni di questa tesi. Uwe Afeman sostiene che “quasi tutti gli studi sui risultati scolastici con l’introduzione dei computer nelle scuole sono stati realizzati e sponsorizzati, non a caso, dall’industria informatica e dalle società telefoniche”. Effettivamente a tutt’oggi non esistono studi indipendenti che abbiano dimostrato senza ombra di dubbio un miglioramento del livello di apprendimento utilizzando soltanto computer e schermi interattivi. […] Al contrario, sono disponibili numerose ricerche che dimostrano l’opposto [studio internazionale PISA 2004, Angrist e Lavy 2002, Wirth e Klieme 2003, Vigdor e Ladd 2010 (National Bureau of Economic Research), Belo, Ferreira, Telang 2010, specificamente su Internet a banda larga nelle scuole tra il 2005 e il 2009, Sallet et al. 2011, Oxford University, da cui emerge che l’utilizzo di media sociali digitali come Facebook, corrispondente a un numero minore di contatti reali, conduce necessariamente a una diminuzione delle dimensioni delle zone cerebrali preposte alle competenze sociali nei bambini. E via di seguito, anche qui l’elenco è lungo]» (Spitzer pp. 69, 73, 74, 77, 78, 108).

Ho avuto anche la disavventura, scorrendo l’articolo, di imbattermi in deliri quali “esami e compiti su ologrammi interattivi”, robot a scuola intelligenti e collaborativi, realtà virtuale e realtà aumentata per stimolare l’interesse degli studenti. E in mezzo a tutto questo ho trovato sbandierata la scuola inclusiva. E allora la questione sanitaria va tirata fuori per forza, seppur in maniera estremamente schematica per ovvie ragioni. Vediamo:

  • nel 2015 scienziati di 41 paesi hanno lanciato un grido di allarme a Nazioni Unite ed OMS affermando che «numerose recenti pubblicazioni scientifiche hanno dimostrato che i campi elettromagnetici colpiscono organismi viventi a livelli molto al di sotto di quanto riportato dalla maggior parte delle linee guida internazionali e nazionali. Più di 10.000 studi scientifici sottoposti a peer review dimostrano danni alla salute umana derivanti da radiofrequenze»;
  • gli standard di sicurezza promossi dall’OMS e le normative nazionali fanno riferimento unicamente agli ‘effetti termici’, cioè al riscaldamento indotto sul materiale biologico esposto alle diverse frequenze dei CEM. Al contrario gli effetti biologici indipendenti da quelli termici comprendono: danni alla barriera ematoencefalica, danni  diretti alle cellule neuronali, disturbi neuro-comportamentali, infertilità, danni al feto e alterazioni del neurosviluppo, aumento dello stress ossidativo e del rischio di malattie neurodegenerative, danni al DNA, disturbi metabolici e del sistema endocrino, alterazione del ritmo cardiaco e schwannomi maligni, tumori cerebrali (glioma, neurinoma acustico, meningioma), tumori della ghiandola parotide, seminoma, disturbi quali mal di testa, eruzioni cutanee, disturbi del sonno, depressione, problemi di concentrazione, memoria,  vertigini, tremori, aumento dei tassi di suicidio (come i dati tristemente confermano);
  • il 31 maggio 2011 la IARC ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza come possibili cancerogeni, inserendoli nel gruppo 2B. Nel marzo 2019 la stessa ha ufficializzato la rivalutazione della classificazione 2011 alla luce delle più recenti indagini indipendenti (Istituto Ramazzini-Cesare Maltoni di Bologna; National Toxicology Program – USA) e attraverso uno studio che terminerà entro il 2024, con prevedibile classificazione in classe 2A (probabili agenti cancerogeni) oppure 1 (cancerogeni certi) (M. Giulietti in “La scuola elettromagnetica”, Dossier a cura dell’Osservatorio Scuola dell’Alleanza Italiana Stop5G);

  • la capacità di assorbimento delle radiofrequenze nei bambini è maggiore rispetto a quella degli adulti, per via della maggiore concentrazione di acqua nei tessuti e delle ossa craniche più sottili. La precoce esposizione alle radiofrequenze nei bambini comporta un aumento del rischio di sviluppo di patologie serie come il cancro per effetto accumulazione, come è emerso dal grosso studio internazionale dell’Interphone Project pubblicato nei primi mesi del 2017;
  • l’avanzata della tecnologia 5G di cui vengono decantate le lodi comporterà un esponenziale aggravamento della situazione, per effetto di un’irradiazione multipla e cumulativa (da fonti varie ed enormemente  moltiplicate, basate sul complesso intreccio di tecnologie diverse) a cui saremo esposti ubiquitariamente 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. L’11 settembre 2019 è stato pubblicato l’eccellente studio a cura dei medici e ricercatori ISDE – European Consumers “Rapporto Indipendente sui Campi Elettromagnetici e 5G”, in cui la questione viene affrontata a tutto tondo e con grande ricchezza di bibliografia scientifica;
  • l’elettrosensibilità (o EHS, elettroipersensibilità) sta assumendo proporzioni sempre più rilevanti. A fronte di stime diverse e numeri discordanti per un variegato insieme di ragioni, va evidenziato che per l’Associazione Italiana Elettrosensibili solo in Lombardia i malati sarebbero oltre 300.000. Secondo Fabrizio M. Gobba dell’Università di Modena e Reggio Emilia, fra i massimi esperti in materia, la popolazione elettrosensibile oscillerebbe largamente fra lo 0 e il 30%. La regione Basilicata ha riconosciuto l’EHS come patologia rara a carico del Servizio Sanitario; in Svezia è riconosciuta come forma di invalidità ambientale funzionale (stimati 250.000 ammalati); in Inghilterra si parla del 3% di ammalati, in Israele del 10% della popolazione (800.000 persone). I bambini e adolescenti affetti da EHS – i cui sintomi variano per tipologia e gravità e vanno da cefalee, insonnia, deficit di memoria e concentrazione a dolori localizzati o diffusi, eruzioni cutanee specie al volto, disturbi uditivi, sbalzi pressori a volte associati a sanguinamenti nasali, palpitazioni cardiache – sono seriamente ostacolati quando non impediti nella frequentazione degli istituti scolastici, caratterizzati da connessioni wireless onnipresenti (cfr. M. Martucci, Manuale di autodifesa per elettrosensibili, Terra Nuova, 2019)

L’Osservatorio Scuola dell’Alleanza Italiana Stop 5G ha redatto “LA SCUOLA ELETTROMAGNETICA. Il pericolo invisibile tra i banchi, Wi-Fi, LIM, Byod e 5G“, un dossier di denuncia su insidie e pericoli della cosiddetta scuola digitale.

Dunque di che scuola inclusiva parliamo? Vogliamo includere gli allievi in una bolla elettromagnetica permanente senza uno straccio di rassicurazione credibile sulla sua innocuità? Come mai, in una scuola fatta di sigle in cui si parla tanto di BES, questi onnipresenti bisogni educativi speciali coprono qualunque tipo di disagio psichico, fisico, economico, sociale tranne l’elettrosensibilità, che può diventare altamente invalidante?? Intolleranti al mondo; intolleranti al mondo transumano e robotizzato che, tolto ormai il velo di Maya, ci proponete come il più desiderabile. A questo punto RCS e La voce di Vodafone rispondano.

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