di Maurizio Martucci
La memoria ha le gambe corte. Anzi, cortissime. E dimentica quanto messo nero su bianco 31 anni fa dall’Istituto Superiore di Sanità, cioè l’ente pubblico tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale italiano vigilato dal Ministero della salute. Infatti, lo stesso organismo che oggi autorizza audizioni parlamentari ed ospitate in TV su Rai, talk show, ma pure in convegni, giornali e siti web del fisico (e non medico) Alessandro Vittorio Polichetti impegnato in una sorta di crociata rassicurante sugli effetti sanitari del 5G, nonostante la dura condanna della Corte d’Appello di Torino nella sentenza con cui riconoscendo nel nesso telefonino-cancro si critica apertamente l’attuale posizione negazionista dell’ISS (“usa in modo inappropriato i dati sull’andamento dell’incidenza dei tumori cerebrali…non tiene conto dei recenti studi sperimentali su animali”), lo stesso Istituto Superiore di Sanità però nel 1989 documentava senza remore i pericoli dell’elettrosmog parlando di “diversi effetti nocivi alla salute”. Quest’affermazione, inquietante alla luce di quanto si prospetta con lo tsunami 5G, è stata scovata nel silenzio di quanti si ostinano a negare l’evidenza, e si trova nel Rapporto Istisan 89/29, un documento di 48 pagine dal titolo “Linee guida e limiti di esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza raccomandati dall’IRPA nell’intervallo di frequenze da 100 kHz a 300 GHz”, curato non dal fisico Polichetti, ma da Raganella e dall’epidemiologo Michele Grandolfo.
Ebbene, oltre a quanto già documentato d OASI SANA per Pietro Comba, altra figura di vecchio corso dell’ISS e dirigente di ricerca nel Dipartimento ambiente e salute e responsabile del reparto di epidemiologia ambientale e sociale (nel 2002 sostenne il nesso causale delle pericolose onde elettromagnetiche in favore di cittadini colpiti da leucemia nella zona della periferia romana irradiata da Radio Vaticana), alla fine degli anni ’80 quando ancora doveva esplodere il grande business delle telecomunicazioni mobili all’interno dell’Istituto Superiore di Sanità si poteva parlare e scrivere della pericolosità delle radiofrequenze per ecosistema e umanità. Il rapporto del 1989 afferma: «l’esposizione a campi elettromagnetici può causare diversi effetti nocivi alla salute. Tali effetti includono la cataratta negli occhi, il sovraccarico del sistema di termoregolazione. Lesioni termiche, quadri comportamentali alterati, convulsioni ed una minore capacità di resistenza alla fatica. Devono essere condotte indagini su tutte le installazioni e su tutti i dispositivi probabili emettitori di radiazione a radiofrequenze eccedente i limiti accettati. Molte sorgenti di radiazione a radiofrequenze emettono in modo non confinato (emissioni radio, tv, radar e simili) e le loro radiazioni si propagano su vaste aree. Prima di scegliere un sito sono necessari uno studio appropriato ed un’attenta analisi dell’impatto sanitario ed ambientale (…) le raccomandazioni per la riduzione delle esposizioni a livelli accettabili devono essere messe in atto il più presto possibile».
Non solo. Sempre in ambito di memoria corta, lo stesso venne poi ribadito 26 anni più tardi dall’altra parte del mondo e precisamente in Asia. Uno studio commissionato nel 2010 del Ministero dell’Ambiente e delle foreste del Governo dell’India e pubblicato nel 2015 – ancora oggi sul sito del Dipartimento di ingegneria elettrica dell’Istituto indiano di tecnologia a Bombay – i ricercatori indiani affermano infatti che “la stragrande maggioranza della letteratura pubblicata indica effetti deleteri dei campi elettromagnetici”,finendo per svelare il “deterioramento della salute delle piante e degli esseri umani che vivono vicino” alle antenne telefoniche.
Visto che col 5G tutti, ma proprio tutti, ci ritroveremo costretti a vivere a stretto contatto con una quantità ancora non meglio precisata di antenne e mini-antenne (previste nel numero di almeno un milione) che, senza precedenti nella storia dell’umanità irradieranno chiunque vita natural durante, è bene oggi rileggere con molta attenzione quanto a Delhi – proprio come a Roma nel 1989 aveva fatto l’Istituto Superiore di Sanità del Ministero italiano – il ministero ambientale del Governo indiano ammoniva solo 5 anni fa. Per rinfrescare la memoria (e non dire che non lo si sapeva). Leggete bene, lo studio si intitola “Possibile impatto dei ripetitori di cellulari sugli uccelli, sulla fauna selvatica e sulle api”.
“La revisione della letteratura esistente mostra che i campi elettromagnetici interferiscono con il sistema biologico in più di un modo e ci sono già state suonate alcuni avvertimenti nel caso di api e uccelli, che probabilmente ciò annuncia la gravità di questo problema e indica la vulnerabilità anche di altre specie. Nonostante alcuni rapporti rassicuranti, la stragrande maggioranza della letteratura pubblicata indica effetti deleteri dei campi elettromagnetici in varie specie. La diversa gamma di frequenza e il tempo di esposizione necessari per produrre impatti misurabili potrebbero variare ampiamente tra le specie e sfortunatamente non abbiamo tali dati disponibili per la maggior parte delle nostre specie floreali e faunistiche libere in India. È urgente concentrarsi maggiormente su aspetti scientifici attenzione a quest’area prima che sia troppo tardi.
L’inquinamento da microonde e radiofrequenza sembra costituire una potenziale causa per il declino delle popolazioni animali e per il deterioramento della salute delle piante e degli esseri umani che vivono vicino a fonti di irradiazioni come le antenne telefoniche. Gli studi hanno indicato il significativo impatto a lungo termine non termici di campi elettromagnetici sulle specie, in particolare a livello genetico che possono portare a varie complicazioni di salute tra cui tumori cerebrali (glioma), riduzione del numero di spermatozoi e mobilità degli spermatozoi, deformità congenite, problemi psichiatrici (stress, “ringxity”, disturbi del sonno, perdita di memoria ecc.) e disturbi endocrini. Tuttavia aspetti simili devono ancora essere studiati tra le popolazioni animali.
L’inquinamento da radiofrequenze onde non ionizzanti è una questione ambientale relativamente nuova, mancano procedure e protocolli standard per studiare e monitorare in particolare gli impatti dei campi elettromagnetici tra gli animali selvatici, che spesso rendono difficili le valutazioni comparative tra gli studi. Inoltre, non esistono dati a lungo termine sugli impatti ambientali delle radiofrequenze. Sarebbero necessari studi di valutazione dell’impatto a lungo termine ben progettati per monitorare l’impatto delle intensità sempre crescenti di EMR sul nostro ambiente biologico. Nel frattempo il principio di precauzione dovrebbe prevalere e dobbiamo migliorare i nostri standard sui campi elettromagnetici per adeguarli miglior modo.”
RIPRODUZIONE CONSENTITA, CITANDO AUTORE E FONTE
Grazie Maurizio, sorprendente come l’Istituto Superiore di Sanità nel 1989 ci mettesse in guardia sui rischi dovuti all’esposizione all’inquinamento elettromagnetico. Lo stesso istituto che adesso ci vuole tranquillizzare e che viene preso a riferimento dalle pubbliche amministrazioni.
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L’impatto dell’acqua e dell’ossigeno sulla propagazione delle Radio Frequenze, da una faq di un sito che si occupa di apparecchiature elettroniche e antenne
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https://www.everythingrf.com/community/what-is-the-impact-of-the-earths-atmosphere-on-rf-signal-propagation
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Intanto qui nella mia zona, un comune della periferia di Milano, spuntano antenne e lampioni ovunque e a me hanno cominciato a ronzare continuamente le orecchie. Ho provato a scrivere al sindaco, in maniera informale, ma non ho avuto risposta. Come potrei muovermi non so.
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