di Maurizio Martucci
Non smette di ripeterlo. Fino allo sfinimento, in un libro di certo non ordinario, fuori dal comune: “Credo sia un’atrocità e un oltraggio che queste medicine sacre siano illegali e credo inoltre che il più veloce percorso verso lo sviluppo di un mondo più cosciente e compassionevole passi attraverso l’uso intelligente delle piante psichedeliche”. Lo scrive il ricercatore statunitense David Jay Brown in “Frontiere della coscienza psichedelica” (Edizioni Spazio Interiore), quindici interviste condotte coi maggiori esponenti del movimento psichedelico mondiale che, mostrati nelle loro più intime vesti di conoscitori e sperimentatori di sostanze e medicine psicotropiche, tratteggiano una versione controcorrente sull’utilizzo cosciente (e non ricreativo) di piante ancestrali o rimedi troppo sbrigativamente bollati (disprezzandoli) come droghe.
Dallo Yagè (Ayahuasca) all’inconscio collettivo e al campo akashico, dalla compassione degli stati di pre-morte alla lotta nelle tossicodipendenze, dai funghi magici alla chimica mistica di Albert Hofmann, dal Peyote narrato da Castaneda agli enteogeni maneggiati nel pionieristico lavoro dello psichiatra Stanislav Grof, passando dai racconti dell’etnofarmacologo Dennis McKenna per finire nella musicalità creativa di Simon Posford (in arte Hallucinogen): “Viaggiare con gli psichedelici può essere psicologicamente rischioso, nessuno lo nega – afferma l’Autore del saggio multidisciplinare di tema unico – tuttavia, se presi correttamente, gli psichedelici sono molto sicuri, anzi potrebbe essere più pericoloso non prenderli affatto”.
Servendosi dei pareri di autorevoli studiosi, scienziati e medici di fama internazionale, nelle sue pagine Brown mostra tutta l’abilità nel maneggiare con disinvoltura un tema certamente non semplice, riuscendo a costruire un’interessante documento testimoniale capace di smascherare ignoranza e pregiudizio di parte (predominante) del mondo accademico, medico-scientifico e politico contemporaneo, colpevole di offuscare le potenzialità (anche e soprattutto terapeutiche) delle sacre piante psichedeliche, da millenni in uso presso i popoli nativi, svilite dal narco-business neo-chimico per pericolose dipendenze compulsive, offrendo (anche al lettore meno avvezzo sull’ignoto) una panoramica d’insieme esaustiva su un tema (si) dibattuto, ma ormai non più tabù. Anche per la conquista di una dimensione spirituale libera, olistica e archetipica, oltre la mera (e illusoria) barriera sensoriale.
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“Lo sciamanesimo è tra essi senz’altro il sistema più antico” – intervistato, paragonando sciamanesimo, yoga e alchimia afferma lo psicologo Ralph Metzner, tra i più esperti al mondo di stati alterati di coscienza, autore di un saggio sulla farmacologia degli psichedelici – “mentre lo yoga e l’alchimia potrebbero essere considerati rispettivamente come estensione orientale e occidentale dello sciamanesimo”.
Molto interessante la chiaccherata con James Ketchum, psichiatra ma soprattutto colonnello in pensione dell’esercito americano, a sua volta autore di un altro libro sulla cosiddetta ‘guerra chimica’ pilotata dai poteri forti, che ha svelato a Brown i retroscena di un passaggio storico, se non propriamente inquietante, ma che almeno deve far riflettere: quando negli anni ’60 del secolo scorso l’opinione pubblica si scagliava contro il movimento di controcultura pacifista (è notorio come gli hippies usassero sostanze psicoattive anche in funzione ecologista), le ricerche dell’esercito USA (guidate proprio da Ketchum) utilizzavano quelle stesse sostanze in funzione anti-capacitante sperimentandone subdole applicazioni in ambito militare, manipolazione della coscienza sull’avversario. “L’LSD poteva essere un’arma, il programma MK-ULTRA condotto dalla CIA aveva lo scopo di trovare sostanze che potessero produrre cambiamenti evidenti nel comportamento”. Kaputt! Ma noi parliamo d’altro…..
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Ciao, un libro sicuramente interessante che meriterebbe una lettura non superficiale. Il tema è di quelli che solitamente schiera due orientamenti contrapposti agguerriti e poco propensi ad osservare le cose da altri punti di vista. Personalmente sono contraria all’utilizzo di droghe comunemente intese ma nel caso di piante “maestro” come io le considero il discorso e ben diverso. Molte persone non vogliono fermarsi neppure un secondo a pensare che le stesse posso non alterarci (nelle percezioni, sensazioni, pensieri ecc.) bensì aiutarci a far cadere delle barriere o dei limiti che ci impediscono di conoscerci e di vedere la “realtà” per quella che è e non per quella che vogliono farci credere che sia. Naturalmente è necessario avere un’ottima conoscenza di qieste piante e del modo in cui “utilizzarle” e bisogna averne anche rispetto. La “denigrazione” delle stesse è qualcosa di voluto secondo me, si vuole che le masse non conoscano, non sappiano, si fa in modo che le conoscenze di sciamani di popoli che rischiano di non esistere più vadano perse o finiscano solo in mano a pochi. La conoscenza è potere, un potere enorme e queste piante possono darci conoscenza. Grazie per la condivisione! Lucrezia
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Hai perfettamente colto nel segno! Qui non si parla di ‘droghe’ che creano dipendenza, assuefazione, distruggendo la centralità con processi chimici tossici. Qui si parla di amplificazioni sensoriali, di piante ‘dottore’ che consentono la scoperta del Sé e di finire nella guarigione di ferite molto profonde. Grazie Lucrezia del tuo contributo, continua a seguirci! MM
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