di Maurizio Martucci
Il sillogismo calzante nel Solstizio d’inverno, il bivio tra l’oscurità più tetra e il ritorno alla luce. L’immagine ci indica lo spartiacque da cui nessuno può sottrarsi. Quale futuro ci attende? Ancora nel solco dei millenari cicli cosmici, in simbiosi e rispetto con la natura pur nel progresso tecnologico sicuro e non fagocitante, oppure assuefatti dall’Intelligenza artificiale nella robotizzazione di umanità ed ecosistema irradiati? Per chi non avesse ancora chiaro senso e portata epocale dello scontro in atto, dalla Corte d’Appello per il Circuito del Distretto di Columbia (la stessa dove a Gennaio 2020 si celebrerà un altro grande processo contro il 5G), arriva una sentenza illuminante: l’unione di tutte le tribù indiane e la United Keetoowah Band, ovvero la tribù dei nativi americani Cherokee (14.300 membri, riconosciuta a livello federale, ha sede a Tahlequah in Oklahoma, ai piedi delle montagne Ozark) hanno avuto la meglio sulla Commissione Federale delle Comunicazioni (FCC).
La commissione che ha autorizzato il lancio in orbita di migliaia di satelliti Wi-Fi e l’installazione indiscriminata di milioni di nuove antenne 5G in tutta l’America, pure nei siti archeologici, storici e sotto tutela ambientale, ha infatti subito una severa condanna, annullato l’ordine di disseminare ovunque mini-antenne di quinta generazione. La vittoria delle tribù dei nativi nasce da una petizione popolare e dal ricorso accolto nelle aule di giustizia, nella rivendicazione del National Historic Preservation Act, cioé alla legge di tutela dei siti storici e archeologici negli Stati Uniti d’America, e del National Environmental Policy Act, la legge ambientale per il miglioramento ambientale statunitense.
In pratica, la corte d’appello ha dovuto esaminare conflitto e divergenza tra il diritto d’impresa delle telecomunicazioni, nella promulgazione governativa della FCC, e il diritto al mantenimento della tutela ambientale e dei diritti tribali sul territorio, diritti direttamente collegati alle infrastrutture di telefonia mobile. Hanno vinto i nativi. “Le tribù hanno affermato che l’eliminazione dei requisiti di revisione potenzialmente metterebbe in pericolo i siti sacri dei nativi americani, poiché le società prevedono di costruire nuove strutture per implementare la rete 5G. L’opinione della FCC secondo cui non era nell’interesse pubblico richiedere la revisione delle distribuzioni di mini antenne 5G è stata respinta”. Il giudice Cornelia Pillard ha affermato “che la FCC non ha affrontato completamente l’impatto che la nuova costruzione avrebbe avuto sulle tradizioni religiose e culturali delle tribù, che spesso richiedono una visione libera dell’intera catena montuosa o di un pezzo di terra.” E ancora, commenta il sito dell’asso-popoli nativi e tribù: “La decisione rappresenta una vittoria chiave per le tribù di nativi americani rispetto alla FCC con la sentenza secondo la quale la commissione non giustificava sufficientemente un ordine che consentiva ai fornitori di telecomunicazioni di implementare infrastrutture di piccole antenne 5G senza consultare tribù o sottoporsi a conservazione storica e revisioni ambientali“.
Non è stata ritenuta giusta né corretta la politica di deregolamentazione, una deregulation ad esclusivo favore della lobby del wireless, a svantaggio di cosiddetti ostacoli, ovvero patrimoni pubblici e locali. Qualcosa di non molto dissimile da quanto auspicato in Italia lo scorso anno dall’Agenzia garante della concorrenza e del mercato (AgCm), che ha svilito in meri intralci tecnico-burocratici allo sviluppo aziendale del 5G regolamenti territoriali e pareri ambientali invero pensati per preservare nella salute pubblica anche flora, fauna e patrimonio artistico-storico-culturale.
Qualcosa di simile ai nativi americani viene ora rivendicato anche in Lombardia. L’11 Dicembre 2019 l’Associazione Noi Ambiente Salute di Viadana (Mantova) ha inviato un’istanza alla Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco chiedendo esplicitamente di dichiarare Sabbioneta (Mantova) come Comune 5G Free, cioè libero e senza l’Internet delle cose. “Lanciamo un appello anche ai responsabili dell’UNESCO – è scritto nella nota – affinché la città di Sabbioneta venga tutelata non soltanto sotto l’aspetto sanitario, ma anche per il suo valore storico, ambientale e artistico considerando che i turisti informati sugli effetti di tale sperimentazione potrebbero scegliere per autotutela di evitare la visita e il soggiorno in questo ambito. Va inoltre considerato il pericolo di svalutazione dei beni immobili nell’eventualità del timore degli effetti negativi di queste tecnologie.” Vedremo cosa farà la nostrana Unesco, presieduta da Franco Bernabè, ex banchiere, ex amministratore delegato di Telecom Italia, membro del controverso gruppo Bildeberg.
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