di Param Shiva Singh
Atteso il traguardo dal 2014, lo scorso anno sembrava ad un passo, ma ad oggi (sciolte le Camere) della firma del Presidente della Repubblica Mattarella sul riconoscimento della ‘Congregazione italiana per la coscienza di Krishna’ come Ente Religioso (Iskcon Italia, dal 1998 già Ente Morale) non se n’è più saputo (né fatto) nulla. Così l’accesso ai finanziamenti dell’8 per mille (già possibile per l’Unione Induista Italiana) tarda per la declinazione indù che fa della Baghavad Gita un punto di riferimento, forte di milioni di fedeli tra India, Bangladesh, Indonesia (e molti seguaci anche in Italia!). L’obiettivo della comunità monastica? Più accaparrarsi i fondi di Stato (che evidentemente non sarebbero poi nemmeno chissà quanti) ricevere un’investitura istituzionale per facilitare l’ingresso dei devoti di Krishna in ospedali, scuole e carceri (nei nosocomi di Firenze e Siena c’è già una stanza della meditazione!) per attività socio-benefiche secondo la cultura vedica.
Infatti il movimento ISKON Italia, che in Villa Vrindavana a San Casciano Val di Pesa (Firenze) ha il primo tempio degli Hare Krishna, col progetto ‘Cibo per la Vita’ solo nel 2016 aveva “ricevuto come contributo circa 10.000 euro che sono stati destinati alla distribuzione di cibo ai poveri che Food for Life Vrindavana (India) organizza giornalmente e ininterrottamente da 27 anni”.
E se proprio la distribuzione di cibo ai bisognosi “per liberarli dalla sofferenza fisica, psicologica e morale” è un caposaldo dell’associazione fondata negli anni ’60 dal Maestro Abhay Charan De (noto come Bhaktivedanta Swami Śrīla Prabhupāda) per diffondere il visnuismo-krasnaismo, l’importanza riversata all’alimentazione è impregnata nel bhakti-yoga (la scienza della devozione al Dio Krishna), tanto da poter considerare gli Hare Krishna come una sorta di ‘religione della cucina vegetariana’: nel solco della cucina vedica rigorosamente non-violenti, non bevono alcolici, non mangiano carne, pesce, ma nemmeno uova (stando attenti ai nascondigli dei derivati animali anche nello strutto, caglio e gelatina) e trovano referenze gastronomiche nel libro “La cucina degli Hare Krishna, 120 ricette divine” di Adiraj Das (Edizioni The Bhaktivedanta Book Trust): “il pasto veloce e preconfezionato che domina la cucina mediterranea ci ha abituato a un’attitudine passiva nei confronti del cibo e dell’alimentazione”, scrivono, rimarcando come “la dieta vegetariana, non violenta e pacifica, è l’unica degna di essere considerata un’alternativa possibile alla grave crisi alimentare che affligge il mondo”.
Nell’ottica vedica ogni essere vivente, quindi anche il mondo animale, è inadatto al nutrimento dell’organismo umano, considerando che il cibo rappresenta una fonte privilegiata di spiritualizzazione per la persone: “i pensieri materiali influenzano in modo sottile chiunque assaggi il cibo”. Da qui l’offerta devozionale di cibo a Krishna, la divinità assoluta che sul proprio altare riceve latte (le mucche vengono amate!) e pietanze vegetariane prima degli stessi devoti, incarnando il principio karmico secondo il quale “il supermercato o la trattoria è più responsabile della minaccia di una guerra nucleare che non la Casa Bianca o il Kremlino”, affermano rifiutando gli orrori degli allevamenti intensivi e dello sfruttamento dissennato e senza scrupoli di forza lavoro e risorse naturali.
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