Inquinamento elettromagnetico ad alta frequenza. Può un limite soglia come quello dei 6 V/m (intensità di campo elettrico in luoghi abitati per almeno 4 ore al giorno) essere ritenuto idoneo e congruo per quasi due decenni e poi, di punto in bianco, per favorire il 5G essere spazzato via da un emendamento blindato con la fiducia all’esecutivo più ‘politicamente tecnico’ e conflitto da interessi che la recente storia italiana possa ricordare? Perché nel 2003 quel limite d’elettrosmog fu valutato come prudenziale e cautelativo (anche se è noto come gli effetti sugli organismi viventi si possano manifestare già a valori di 0,002 V/m e i malati elettrosensibili ci sono anche a 6 V/m), mentre oggi lo si vorrebbe inficiare, oltrepassandolo di ben 110 volte? In base a quali garanzie si spinge per i 61 V/m? Ma soprattutto, come si arrivò ad una tra le norme più cautelative d’Europa? (in Svizzera, nel Cantone Ticino era 4 V/m mentre in Belgio e Danimarca 3 V/m, e nel piccolo Liechtenstein inizialmente 0,6 V/m: non superiore a 0,6 V/m era invece in Austria nella provincia di Salisburgo e nella Castiglia in Spagna. In Italia, prima dei pronunciamenti per illegittimità costituzionale della normativa regionale, le leggi di Puglia, Marche e della Provincia autonoma di Trento fissavano il limite a 3 V/m).
“Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz“. Con il decreto dell’8 luglio 2003 il primo Governo Berlusconi (Maurizio Gasparri era Ministro delle Comunicazioni) diede attuazione della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), attraverso la determinazione dei valori limite (cioè dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità) per la protezione della popolazione dai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici. E il limite soglia per il campo elettrico generato dalle antenne di telefonia mobile (Stazioni Radio Base) venne fissato a 6 V/m nei centri abitati (un decreto di Mario Monti lo arginò, superandolo già nel 2012), parametro che oggi – a distanza di 18 anni – il Governo Draghi vuole abrogare con la complicità del Parlamento, senza alcuna prova scientifica sugli effetti sanitari e ambientali.
Nell’ambito della campagna di informazione IL GOLPE ELETTROMAGNETICO promossa da Alleanza Italiana Stop 5G, OASI SANA propone una ricerca degli atti parlamentari, elencando i maggiori passaggi preparatori e propedeutici ai DPCM del 2003.

Inquinamento elettromagnetico
SPECIALE 6 V/m
L’attuazione della legge quadro n. 36/2001:
il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) dell’8 luglio 2003
PRIMA PARTE
SECONDA PARTE
TERZA PARTE
ELETTROSMOG, LE LEGGI IN ITALIA
Può essere utile richiamare le principali finalità perseguite dalla legge quadro del 22 febbraio 2001, n. 36
“Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”
§ la predisposizione di una disciplina unitaria, applicabile a tutte le fonti di inquinamento elettrico e magnetico;
§ l’inserimento della tutela dall’inquinamento elettromagnetico all’interno di una cornice sistematica che disciplini il riparto di competenze fra i diversi soggetti pubblici coinvolti;
§ la fissazione di nuovi valori limite, e, in particolare: dei limiti di esposizione (ai fini della tutela della salute da effetti acuti), dei valori di attenzione (che non devono essere superati negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a permanenze prolungate) e degli obiettivi di qualità (per la localizzazione di nuovi impianti, l’incentivazione delle migliori tecnologie disponibili e la progressiva mitigazione dell’esposizione);
§ la programmazione degli opportuni interventi di risanamento dei siti.
In tale contesto, l’articolo 4, comma 1, lettera a), della legge individua tra le competenze statali la determinazione dei limiti di esposizione all’elettrosmog e la definizione delle tecniche di rilevazione, “in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee”. Il successivo comma 2 demanda la definizione di tali limiti a due DPCM, da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, volti a fissare i valori limite rispettivamente per la popolazione (lettera a) e per i lavoratori e le lavoratrici professionalmente esposti (lettera b).
Nonostante l’ambito di applicazione della legge n. 36/2001 fosse esteso a tutti gli impianti, i sistemi e le apparecchiature suscettibili di comportare l’esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici con frequenze comprese fra 100 kHz e 300 GHz (impianti radioelettrici) ovvero i campi ad alte frequenze.
CHI SFORA I LIMITI, PAGA?
In caso di superamento dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione nell’esercizio o nell’impiego di una sorgente o di un impianto che genera onde elettromagnetiche sono previste sanzioni amministrative pecuniarie da euro 1.032 fino ad euro 309.874 ed è escluso il pagamento in forma ridotta ai sensi dell’art. 16 della legge n. 689 del 1981.
Quando, oltre al superamento dei valori-soglia si concretizza e si dimostra il nesso causale tra le onde elettromagnetiche e la lesione all’integrità psicofisica di una persona la tutela può assumere contorni di rilievo penalistico con riferimento all’art. 674 c.p.
Inoltre, proprio per l’inquinamento elettromagnetico, il privato cittadino sottoposto ad esposizioni superiori ai limiti di legge può avvalersi della tutela civilistica inibitoria statuita per l’appunto dall’art. 844 c.c. (FONTE: STUDIO LEGALE)