5G, Intelligenza artificiale e controllo della mente. La longevità del negazionismo

di Annalisa Buccieri

Sempre più spesso, in questi giorni, la televisione di stato ci propone sentite apologie dell’intelligenza artificiale, presentata quale nuova frontiera di un’umanità vincente e panacea di tutti mali; nonché del telefonino, amico, intelligente e pure nuovo focolare domestico. Lo fa attraverso i suoi Tg all’ora di punta e attraverso “approfondimenti” che in alcuni casi fanno rabbrividire chi abbia conservato qualche capacità di discernimento. Tg2 Week End Estate del 24 agosto (replica), arringa a favore dei media digitali e in particolare del cellulare. Il giornalista Gianluigi Bonanomi (n.b.: giornalista informatico e formatore in materia, che definisce se stesso «digitale per formazione») chiamato a valutare il ruolo che quest’ultimo riveste nell’esperienza di vita delle nuove generazioni, altro elemento di criticità non riesce a riscontrare se non quello dei cattivi incontri in rete, certo rilevante ma superabile con opportuni accorgimenti da parte dei genitori. Per il resto lo smartphone diventa occasione di condivisione con la famiglia, tanto da far parlare di “navigazione familiare”: cosa c’è di meglio che organizzare insieme la prossima vacanza su Google?? Non è la tecnologia che fa male, ma solo l’uso che se ne fa, il nuovo mantra. D’altra parte la domanda di apertura del servizio era stata: «A che età dare il cellulare al bambino?» Con seguito: «Di sicuro proibire l’uso di questi dispositivi non è la soluzione, il trucco sta nell’uso condiviso in famiglia».

Sono nel diritto di irritarmi, provare disgusto misto ad angoscia e sbigottimento. C’è la questione dello sviluppo neurologico. Dell’insorgenza di disturbi comportamentali ed emotivi nei bambini, di nuove psicopatologie adolescenziali, della creatività brutalmente privata di ossigeno, della trasformazione in monadi che solo nello spazio virtuale ritrovano la dimensione privilegiata del loro esistere. E non è certo poco. Ma qui voglio rispondere in termini di impatto sulla salute, perché è criminale tacere su ciò che si conosce da tempo. Oggi vorrei riflettere sulla longevità del negazionismo. Ossia tutto è cambiato, ma niente è cambiato. Per farlo attingerò al libro d’inchiesta di Riccardo Staglianò, che stasera mi sono trovata a rileggere e ha fatto da spunto alle mie considerazioni. Partiamo dall’esperienza dello scienziato Allan Frey, a cui si deve la scoperta dell’ “effetto Fray”, cioè che i radar fanno un rumore non avvertito dalle orecchie ma direttamente dal cervello. Altro che assenza di effetti non termici, che ancora l’ultimo e recentissimo rapporto ISS ci ripropone come dogma. Ma andiamo con ordine. Cito letteralmente dal testo: «Il tema della pericolosità di radiazioni simili a quelle dei cellulari si era posto già prima della loro diffusione. È il 1975, due anni dopo la presentazione del prototipo della Motorola, quando un giovane ma già autorevole neuroscienziato pubblica […] uno studio in cui dimostra che certe microonde possono causare perdite nella speciale barriera che separa il sistema circolatorio normale dal cervello. La notizia è una bomba». In pratica è come se si lesionasse un filtro fittissimo che impedisce ai numerosi agenti cancerogeni cui siamo sottoposti di attaccare il cervello. Il negazionismo parte da qui. Sullo studio è stato fatto silenzio, ma Frey ha continuato a occuparsi di onde non ionizzanti, quelle che non rompono i legami chimici delle molecole e in merito alle quali si continua a ripetere che non possono sortire effetti biologici sugli esseri umani, sul modello del forno a microonde, le cui onde tuttavia, pur assai potenti, restano confinate in una scatola metallica. Ecco la testimonianza rilasciata da Frey a Staglianò sul suo esperimento relativo alla barriera emato-encefalica: «Iniettai nella vena femorale dei topolini una tinta fluorescente. In due secondi sarebbe arrivata al cuore. Di lì, in un tempo analogo, al cervello. A quel punto, in condizioni normali, si sarebbe fermata al varco dei capillari più stretti. Ma l’esposizione di quei  ratti a un bagno di radiazioni a bassa intensità, in tutto e per tutto simili a quelle che oggi utilizzano i cellulari, provocò come un allentamento della diga, delle crepe dalle quali la tinta riuscì a contaminare i cervelli delle bestiole». Prima reazione dal Pentagono, solitamente generoso finanziatore di Frey, che comunica l’opportunità di evitare qualsiasi riferimento all’esperimento e ai suoi esiti nella successiva richiesta di fondi. «L’ortodossia  ̶  racconta Frey  ̶  continuava a ripetere che le radiazioni non ionizzanti non potevano nuocere perché non erano in grado di spezzare i legami del DNA. […] Però io sapevo che i radar, pur non spezzando legami, avevano un reale effetto biologico. E adesso sapevo anche che le radiazioni aprivano uno spiraglio in una porta di sicurezza che avrebbe dovuto restare ben chiusa. Quello che mi era chiaro è che l’essere umano è un organismo essenzialmente elettromagnetico. […] Quindi alterare in qualche modo quella tensione interna al nostro corpo non poteva non avere conseguenze».

Siamo all’esperimento sulle rane, valutazione degli effetti di diverse modulazioni di frequenza: «A un certo punto mi resi conto che una specifica modulazione provocava sulle malcapitate cavie delle aritmie. Modificandola ulteriormente, come si farebbe con la manopola del sintonizzatore di una radio alla ricerca della stazione preferita, riuscii a far fermare i loro cuori. Perché fosse accaduto, a livello neuronale, non ero in grado di spiegarlo. Però erano lì, sotto i miei occhi, stecchite. Le avevano uccise le innocenti radiazioni non ionizzanti, senza alzare di un grado la temperatura della loro pelle». Al Pentagono, dicevamo, tutto questo non è piaciuto, radar che provocano danni alla salute, radiofrequenze  ̶  protagoniste indiscusse della guerra contemporanea  ̶  che rendono il cervello vulnerabile… E se poi arrivassero richieste di risarcimento…  Eppure, per altri versi, quei risultati da negare facevano gola..  Rane fatte secche = nemici abbattuti, perlomeno resi inoffensivi, senza sprecare pallottole. Ed eccoci. Armi che non si vedono, con l’obiettivo farneticante di arrivare al controllo della mente nemica, con droghe, ipnosi.. e radiazioni. Farneticante e purtroppo attualissimo. La Cina insegna. Il controllo degli stati emotivi in fabbrica è roba dei nostri giorni. Il 5G non è solo un miglioramento tecnico per i telefonini.

I professori Lai e Singh, Washington University di Seattle all’epoca, con i loro studi sul DNA danneggiato ritentano l’impresa di far ricerca e metterla a servizio della salute pubblica. Insieme utilizzano il test predisposto da Singh noto come Comet assay. Per farla brevissima, se il nucleo cellulare non è danneggiato alla fine del test avrà una forma rotonda e omogenea; in caso contrario avrà una forma simile alla coda di una cometa, disomogenea e allungata a causa dei frammenti lacerati di DNA. L’esperimento (siamo nel 1993) viene realizzato sui ratti, due ore di esposizione a radiofrequenze. Al termine il DNA dei loro cervelli appare come un pezzo di stoffa violentemente strappata. Nessuno finanziò e sostenne il lavoro di Lai e Singh.

Nora Volkow, bisnipote di Lev TrockiJ, scienziata di eccellenza assoluta, annoverata dal Time nella lista delle 100 persone in grado di cambiare il mondo, finalmente nel 2011 pubblica le sue scoperte e afferma, telegraficamente, che «i cellulari influenzano l’attività cerebrale». Punto. Come? Serviranno altri studi. Ma non si può più affermare, a meno di non sposare deliberatamente la menzogna, che le radiazioni dei cellulari non influenzino il funzionamento del cervello. Ci sono anche le foto a colori! Macchie rosse in mezzo al giallo… chiazze verdi e azzurre attorno che rappresentano l’encefalo “non sotto attacco”[1].

A questo punto mi chiedo – e dobbiamo chiederci seriamente, se ci interessa  difenderci  da una minaccia con conseguenze assai più agghiaccianti di queste – con quale faccia, obnubilamento della coscienza e servitù al denaro ancora oggi politici, istituti di ricerca e pure il servizio pubblico continuino a propinarci la favola delle radiazioni non ionizzanti che non fanno male. Non + non. Il negazionismo non ha perso un colpo. Solo conoscenza e coraggio possono infrangerlo. Si può negare a oltranza soltanto confidando nell’ignoranza, nell’inconsapevolezza. Nell’assenza di memoria, oggi flagellata dalla cultura dell’effimero e dai tempi forsennati della tecnologia. Nella schiavitù gradita, non compresa, accolta a braccia aperte in cambio di un profilo Facebook e una connessione “come mai prima d’ora!”. Ogni medaglia ha il suo rovescio, nel male, ma pure nel bene. Abbiamo i social, che ci imprigionano. Ma allo stesso tempo sprigionano una capacità divulgativa assente negli anni passati, concausa dell’insabbiamento degli studi di maggior pregio. Usiamoli per dire basta alla bugia di vecchia data, una volta smascherata sarà privata di ogni sostanza.

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